Santuario Madonna del Binengo

Il Binengo sorge sull’antica strada che, costeggiando il Serio, conduceva a Crema. Strada poi sostituita dal provinciale alla fine del 1800. Curiosa è l’origine e il significato del nome ‘Binengo’. Il primo documento in cui il termine ricorre porta la data 3 Novembre 1022 ed è riportato dall’ ‘Astegiano’ nella forma ‘Albeningo’. In un documento imperiale del 1192 è redatto nella forma ‘Albernegum’. Negli atti della visita Lombardi (1756) si legge ‘Albinengo’. Nella ‘Carta dell’Istituto Geografico Militare’ ristampa del 1911 viene riportato ‘Il Binengo’.

 

Origine del nome

Il nome Binengo, secondo il Rosa, studioso di lingua, dialetti e tradizioni della provincia di Bergamo e Brescia, deriverebbe dal significato del termine ‘Bine’, derivante dall’antico tedesco ‘Buhne’ che indicava suddivisione di posti vicini, gruppo, nucleo. In questo caso il Binengo significherebbe parte della vicinia di Sergnano. Un’altra interpretazione è data dal dott. Robolotti che ricostruisce l’etimologia partendo dal significato di ‘Bina’, nome indicante ‘ogni riparo, palafitta, chiusa, che trattiene le acque nei tempi asciutti affinché alimentino i molini o altri canali di irrigazione. Ed in una carta del Bolzini del 1741 i due corsi d’acqua irrigatori che derivano dal Serio, la Babbiona ed il Menasciutto, hanno origine precisamente di fronte al Binengo. Il Binengo quindi secondo lo studioso Rosa sarebbe parola prettamente longobarda, secondo il Robolotti, sarebbe latina o italica nel radicale e longobarda nella finale. La desinenza longobarda ci persuade che l’epoca di origine della località debba assegnarsi al secolo settimo circa.

 

Storia dell’insediamento

Il Binengo attualmente consta soltanto di una antica chiesa con campanile e casa per il custode. Nei pressi del santuario esisteva un’altra chiesetta dedicata a s.Stefano. A sostegno della presenza di questa chiesetta è quanto leggiamo nella Visita Pastorale del Vescovo Regazzoni nel 1583: ‘Non si celebri in questa chiesa finché non siano rimesse le porte di sicurezza con chiave e serratura. (…) il popolo provveda a mettere in ordine tetto e pavimento’. Nella Visita Pastorale del 1756 se ne fa questa descrizione: ‘Tale cappella è volta con la faccia a sera, e vi è dipinta sul muro, in mezzo, l’immagine della Beata Vergine con Bambino, sul lato a monte l’immagine di s.Stefano, e nell’altro a mezzogiorno quella di s.Lorenzo.’

 

La devozione

Una tradizione immemorabile, registrata negli atti della Visita Lombardi racconta che la Madonna sarebbe apparsa l’8 Settembre ad una fanciulla che conduceva le oche al pascolo e le avrebbe ingiunto che si edificasse in quel luogo un santuario in suo onore. La vicenda non è avvalorata da documenti, ma la popolazione di Sergnano, devotissima a questo santuario, ormai da quasi cinquant’anni, nel giorno dell’8 settembre festeggia la Madonna con la festa del Binengo. La festa venne iniziata dal parroco d. Giovanni Zaninelli nell’anno 1978. Nacque così in quell’anno un meritorio e attivo gruppo di volontari che via via nel corso degli anni han fatto crescere la festa fino ad organizzarsi nel 1995 in ‘Gruppo del Binengo’, tuttora attivo.

 

La Chiesa

Il nostro oratorio, che la gente si compiace di chiamare Santuario, è di semplice e bella architettura cinquecentesca. Prima di entrare osserviamo sotto il pronao due affreschi settecenteschi, s.Pietro e s.Antonio di Padova e due formelle che rappresentano la Madonna con il Bambino, con probabilità opera di figuristi locali e sopra la porta è affrescata una settecentesca immagine di Maria sotto la quale leggiamo: ‘Monstra te esse matrem’. Finalmente ci accoglie il Santuario. La prima impressione è quella di entrare nell’atelier del pittore Aurelio Busso (seconda metà del quindicesimo secolo) perché tutto qui ci riporta a lui e alla sua scuola. Sin dal primo ingresso l’occhio è attratto dallo splendore dell’altare, che sviluppa il tema di una ricca trabeazione su due colonne, fiancheggiate da due statue rappresentanti i genitori di Maria Santissima, Gioacchino ed Anna, in terracotta originariamente colorata. Nella nicchia è venerata una Madonna con Bambino, rara immagine in terracotta policroma, che la rappresenta seduta su un trono a cui mancano le spallette perché la si vuole ricoperta di un manto di broccato. La mensa, in origine in laterizio e stucco, come denunciano alcuni residui alla parete, fu poi mutata con paramenti marmorei intarsiati di ignota provenienza e qui adattati, insieme alle balaustre. Non può sfuggire all’attenzione il bel cancelletto in ferro battuto del settecento. Nel presbiterio abbiamo un concentrato di misteri mariani e una breve litania della Madonna. Ai lati dell’altare due grandi affreschi rappresentano la Natività di Maria e la Adorazione dei Magi, mentre la Nascita di Gesù è nel piccolo riquadro della cimasa. Nelle altre lunette, la Presentazione al tempio e la Fuga in Egitto. Quest’ultima, benché rimanga in ombra per la sua posizione, è come la tessera di riconoscimento di Aurelio Busso, perché ripete in piccolo la famosa ‘Fuga’ della Galleria di Lovere, considerata il suo capolavoro.

Sulla volta del presbiterio sono effigiati il Sogno di s.Giuseppe, il Ritrovamento di Gesù, l’Incoronazione della Vergine. Presso le due porticine sono le due sante martiri Lucia e Caterina. Sul prospetto dell’arco trionfale ci sono, in due finte nicchie, i Santi Giovanni Battista e Stefano diacono. Alle estremità dell’arco invece rimangono in perfetta efficienza i due gruppi degli Apostoli, pieni di animazione e di vivi colori. Sotto l’arco trionfale corre una trave riccamente ornata, sulla quale è innalzato un Crocifisso antico, coevo alla Chiesa; uno dei pochi rimasti a testimoniare una usanza tradizionale che è bene conservare. Nella navata, alla parete sinistra entrando, ecco una scena domestica della Sacra Famiglia. Il secondo quadro onora s.Francesco, che si staglia sopra un paesaggio veramente tipico del Busso, ma che è anche di derivazione leonardesca. Il terzo rappresenta s.Orsola con le vergini in abito monacale. Segue una parete su cui sono applicati due strappi di affreschi, provenienti dalle demolite cappelle della chiesa di S. Martino. Sono opere autografe di Aurelio Busso. Sulla destra ecco una bella Madonna in trono con Bambino affiancata da quattro santi: Biagio, Sebastiano, Rocco e Fermo; segue una visione di s. Francesco che riceve il bambino dalla Madonna, appresso segue s. Antonio abate con la Madonna e infine s. Bartolomeo Apostolo, di cui, oltre la grande figura, si rappresenta in piccolo l’episodio del martirio in un quadretto di squisita fattura.

Sulla parete interna della facciata si possono ammirare due altri affreschi che sono i più belli della serie e nei quali manifesta una chiara conoscenza e imitazione di opere del Luini e di modi vagamente leonardeschi.

Vi è un s. Girolamo che si raccomanda per la brillantezza dei colori, la tonalità del paesaggio; si può dire che il suo modello sia il quadro omonimo di Bernardino Luini che è conservato al Poldi Pezzoli di Milano. Fa riscontro al Santo una s. Eurosia in estasi. Qui l’ispirazione verrebbe dall’affresco di s. Caterina, sempre del Luini, nel monastero maggiore (Milano). Sopra la porta è effigiato s. Martino in un medaglione più tardo, settecentesco. Si noti il lontano paesaggio della città di Amiens, la finezza del bel cavallo e tutta la figura veristica del mendicante.

Da questa rassegna si comprende molto bene come la chiesa del Binengo, col suo piccolo mistero circa le origini, e il non piccolo tesoro di opere d’arte, sia tanto amata dal popolo di Sergnano. Negli ultimi anni non ha cessato di rivolgere verso il bel santuario le cure più assidue per la sua stabilità intervenendo nel 1985 con un totale restauro per riportare gli affreschi allo stato originale e nel 2016 un intervento conservativo sulla chiesa e sullo stabile del custode.

L’aver ridato a questo singolare gioiello la bellezza originaria, è certamente il più bel premio per tanto amore, per tanto lavoro e impegno finanziario che i Sergnanesi tutti han sempre profuso. Chi poi volesse ad ogni costo ricercare anche altre note di folclore poetico, indugi sotto il portico al tramonto e sentirà:

Fora, ‘ndi bosch na bèla cantadina

da qualche rusignol o reerì

E dentre, ‘na cesa per la Madunina   ,

l’Ave Maria da qualche bagaì